WSTAWAC!
Il Comando dell’Alba
La ricorrenza, la cerimonia di un evento storico, svolge un ruolo di memoria e di vigilanza all’interno di una società civile; più un avvenimento documenta il suo verificarsi, il suo passaggio e più il senso umano di appartenenza a quell’evento rimane vivo.
Le immagini filmiche della Seconda Guerra Mondiale, furono le prime in assoluto a mostrare una guerra e passati 60 anni, rimangono le più attuali, le più reali. Proprio per questo l’elemento di tragicità e di testimonianza acquista un senso e un valore assoluto.
“Wstawac!” è un termine polacco che significa “Alzarsi!”, era la sveglia,
“Il comando dell’alba”, urlato ai prigionieri ebrei, in campo di concentramento ad Auschwitz, durante la Seconda Guerra Mondiale.
Wstawac! è un comando terribile un risveglio brutale, “Alzarsi!” ogni giorno per essere schiavi, per cominciare a soffrire, per patire la fame, per andare a morte; ma Wstawac è anche una parola, un verbo, che molti ebrei prigionieri fecero proprio, traducendolo come sinonimo e germe di resistenza, di forza, di vitalità, di speranza; Wstawac!: sopravvivere.
Wstawac! Un allestimento teatrale non convenzionale, dove il coinvolgimento del pubblico, le interazioni e contaminazioni di forme espressive diverse, le musiche inedite di Morricone, la teatralità essenziale e potente e le immagini di documenti reali si fondono in un linguaggio diretto e penetrante. Tutto questo è Wstawac! dove il filo conduttore:
“Se questo è un uomo ” di Primo Levi si eleva a ruolo di legame e di verità.
Primo Levi autore di un libro autobiografico tradotto in tutto il mondo sull’esperienza di deportato e prigioniero ebreo ad Auschwitz, riesce a trasmettere con una scrittura scarna essenziale, tutta la tragedia della Shoah.
Quello che colpisce già nelle prime pagine del suo libro, nella sua scrittura, è il continuo rimando all’elemento tragicomico, riuscendo così a dare della sua esperienza un quadro reale, umano.
“Non c’è nulla di più comico dell’infelicità” scrive Samuel Beckett nel suo “Finale di partita” e pare quasi che Primo Levi sia stato l’ispiratore di questa frase del drammaturgo – che rappresenta uno dei massimi esponente di quel movimento, nato dopo la guerra, in Francia, denominato Teatro dell’Assurdo – in qualsiasi avvenimento drammatico, infatti, emerge sempre e inevitabilmente l’aspetto ridicolo, paradossale, “comico”, lo si coglie come reazione, come necessità per andare avanti per sopravvivere… Scrive Levi:
“una fanfara incomincia a suonare, accanto alla porta del campo: suona Rosamunda, la ben nota canzonetta sentimentale, e questo ci appare talmente strano che ci guardiamo l’un l’altro sogghignando; nasce in noi un’ombra di sollievo, forse tutte queste cerimonie non costituiscono che una colossale buffonata di gusto teutonico”.
Altri momenti di forte contrasto nello spettacolo sono i documenti video di immagini reali dell’epoca, che spezzano la teatralità e accompagnate da musiche originali di Morricone rafforzano e trasfigurano la tragicità; immagini forti dure dove non bisogna girare il capo, immagini che implorano a noi il coraggio di guardare.
Tra un testo inedito di S. Robichon regista dello spettacolo, un testo di
Par Lagekrvist autore svedese (nobel 1951) e una breve poetica di
Pier Paolo Pasolini si intreccia la narrazione di “Se questo è un uomo”
Trait d’union dello spettacolo è anche la figura del “Boia”, che rappresenta una costante nella storia da dove, egli stesso, lancerà il suo doloroso atto d’accusa nei confronti dell’umanità.
La coralità teatrale è un elemento fondamentale.
Una coralità di voci e di corpi, di sofferenza e di morte, che la realtà del lager costringeva alla rappresentazione; un insieme forzato, una massa grigia, sincronizzata, che si muove al tempo di lotta per la sopravvivenza.
Silvano Tombini Robichon